Giugno 6, 2022
(di Sofia Tavano)
L’esplosione del fenomeno delle Dark Kitchen costituisce una nuova opportunità per il settore della ristorazione e per chi ci lavora.
Il mercato del food delivery ha infatti segnato un +31,0% a livello globale tra il 2019 e il 2020 ed è previsto un valore globale del settore Food&Beverage di 306 MLD € nel 2030 e che crescerà ad un CAGR del 15%, tra i settori in più rapida espansione (UBS).
Di fondamentale importanza per chi opera in tale ambito è diventato offrire un servizio multicanale che fa della logistica una parte integrante del proprio business, differenziandosi in questo aspetto dal food delivery in senso lato che si limita a prendere il cibo dal ristorante e consegnarlo al cliente finale.
Il format è molto semplice: un ristorante decide di parcellizzare parte della propria struttura per produrre in uno spazio condiviso con altri brand migliorando la gestione delle proprie risorse umane e tagliando i costi per l’affitto del locale, aspetto che nell’ottica del lockdown pandemico ha portato diversi ristoratori a scegliere questa opzione per non dover sostenere i costi di un ristorante tradizionale.
L’utilizzo della parola ‘opzione’ suggerisce che la ristorazione in loco e la ristorazione priva di somministrazione diretta ai clienti non siano due strade percorribili parallelamente, bensì alternative.
Il modello di ristorazione così come è stato concepito non è più sostenibile e la pandemia ha solamente accelerato un processo che rappresenta la naturale evoluzione del food delivery.
Le stesse piattaforme di delivery stanno spingendo questo nuovo modello di pick-up restaurant, come testimonia l’apertura di una Dark Kitchen a Milano da parte di Glovo nel 2020.
Il fine è quello di alleggerire il carico di lavoro dei fattorini che operano a pieno ritmo creando un flusso di rider che si muova in una direzione univoca, risparmiando tempo e ottimizzando i costi di consegna grazie a cucine multibrand, che costituiscono il punto nevralgico dell’attività.
Il fenomeno delle Dark Kitchen nasce negli USA, a Los Angeles, dove la cultura culinaria è perlopiù radicata nell’assemblaggio e non nella trasformazione del cibo e in Europa è stato il Covid-19 a dare maggior spinta a questo trend già esistente, soddisfando una necessità diffusa e condivisa, ovvero quella di un pasto veloce ma pur sempre di qualità, in modo più “smart”e digitale.
Ad importare in Italia nel 2020 l’idea di una cucina da “frequentare” solo per asporto e delivery sono stati due ex concorrenti di Masterchef, Alida Gotta (secondo posto, quinta edizione) e Maurizio Rosazza (secondo posto, seconda edizione).
DeliveryValley offre tanti menu diversi all’interno di una sola cucina, senza passare dal ristorante, e collabora con i principali player del mondo del delivery per effettuare le consegne, una risorsa fondamentale soprattutto agli inizi per capire meglio chi erano i loro clienti e su quali segmenti di clientela puntare di più.
Secondo un’analisi di Coldiretti, il 28% di chi riceve il cibo a casa richiama l’esigenza di una maggiore sicurezza dei prodotti durante il loro trasporto mantenendo alta la qualità del cibo, un 25,3% che chiede alle piattaforme web di promuovere la qualità dei prodotti e degli ingredienti che propongono nei loro menù di vendita ed un altro 17,7% che vorrebbe migliorare anche l’utilizzo di prodotti tipici e di fornitori locali.
L’assunzione di capipartita e responsabili di cucina qualificati diventa in quest’ottica ancora più strategica, essendo che i tempi di attesa per la preparazione dei piatti sono ben diversi da quelli di un ristorante canonico ma lo standard qualitativo deve rimanere comunque medio-alto, senza contare che la condivisione degli spazi di lavoro per la preparazione di ricette diverse richiede una sinergia perfetta fra i vari membri dello staff della “cucina nascosta”.
Aprire una Dark Kitchen conferisce al business una maggior flessibilità dal punto di vista organizzativo e operativo, consentendo al ristoratore di gestire un marchio di hamburger ed uno ad esempio di dolci senza alcun costo aggiuntivo da sostenere, ognuno con un proprio storytelling e ed un proprio target, con il vantaggio di poter migliorare la propria brand awareness.
Definire il food cost diventa ancora più strategico e contenerlo è più facile grazie alla personalizzazione del menu che consente una migliore conoscenza della propria clientela grazie ai dati sulle abitudini alimentari che vengono raccolti, rispetto ad un ristorante che lavora in modo tradizionale.
In tale contesto, parola d’ordine è la standardizzazione dei processi di trasformazione del cibo mantenendo inalterata la qualità dell’offerta grazie ad un controllo completo sulla propria filiera, dalla produzione alla distribuzione.
Il mondo delle ‘cucine senza volto’ è assai vasto: ci sono realtà che operano in modo analogo alla Dark Kitchen ma che è utile distinguere non solo per correttezza dal punto di vista semantico, ma anche perchè la scelta di un modello di business piuttosto che un altro altro comporta una legislazione diversa da applicare.
Dark Kitchen, Ghost Kitchen e Cloud Kitchen: sono davvero sinonimi?
Il comune denominatore di questi tre innovativi modelli di business è il concept pop-up kitchen: individuare i nuovi trend gastronomici che si stanno sviluppando in una determinata zona e aprire in quella zona la propria cucina.
La Cloud Kitchen prevede che una società immobiliare metta a disposizione di diversi operatori del foodservice uno spazio preallestito con attrezzature e dotazioni tecniche sufficienti per l’avvio di un proprio brand di ristorazione con consegna a domicilio.
A Milano nel 2020 è nata Kuiri, che assiste i ristoratori nella fase di avviamento della food startup e, consentendo di noleggiare la smart kitchen, riduce l’esborso iniziale che il ristoratore si troverebbe ad affrontare per aprire il proprio locale da zero.
La Ghost Kitchen prevede invece un modello più “centralizzato”, in quanto all’interno dello spazio di co-working un ristoratore decide di sviluppare uno o più brand dedicati esclusivamente al delivery (per il quale si può affidare a piattaforme come UberEat, Glovo, Deliveroo, MyMenu, Cosaporto e JustEat) e gestiti tutti direttamente da lui.
“Via Archimede- Gastronomia di quartiere” è la prima Ghost Kitchen inaugurata dall’imprenditore milanese Luca Guelfi, che nei primi mesi del 2020 ha deciso di chiudere gli otto locali di sua proprietà per puntare su questo nuovo modello di business.
In Italia, secondo un report dell’Osservatorio e-commerce B2C del Politecnico di Milano e di Netcomm, il mezzo preferenziale per ordinare rimane quello telefonico e per i ristoratori l’84% delle ordinazioni, viene ancora gestito manualmente con carta e penna.
In un’intervista rilasciata alla rivista mensile FoodService, Guelfi svela l’identikit del suo cliente medio: “adulto, con più di 50 anni e amante del buon cibo. Si tratta di un pubblico diverso da quello giovanile (più abituato ai delivery classici), che desidera parlare e confrontarsi con lo chef prima di ordinare. Per questo l’ordine si fa al telefono, proprio per garantire un maggiore senso di vicinanza tra le parti.”
La Dark Kitchen, se da un lato sembra mettere ancor di più da parte il contatto umano tra ristoratore e cliente, dall’altro abbraccia quella parte di clientela non digital friendly reticente ad ordinare tramite app come JustEat, Deliveroo e Glovo, consentendo loro di ordinare anche chiamando il locale per il proprio delivery o take-away.
Ad ascoltare e fare proprie le innovazioni oltremanica sfruttando le opportunità del delivery e del digitale dal lato B2B è stato invece Marco Mottolese, under 40 CEO di Foorban,
Il suo progetto ha dato vita al primo digital restaurant in Italia, nato nel 2016 come modello B2C oggi sempre orientato al cliente finale scegliendo come tramite le aziende, per permettere ai dipendenti delle aziende di mangiare sano ricevendo i piatti cucinati da cuochi professionisti in una central kitchen senza coperti, votata 100% al delivery.
Quali norme è tenuto ad osservare chi desidera avviare una Dark Kitchen?
Sotto il profilo degli adempimenti legali e sanitari occorre comunque garantire il rispetto delle norme igienico sanitarie in relazione al confezionamento degli alimenti mediante l’utilizzo di confezioni o materiali adeguati a contenere gli alimenti (MOCA) per assicurare la massima protezione e al trasporto degli stessi.
Le attività in questione sono equiparate alle attività di ristorazione senza somministrazione con preparazione di cibi da asporto e, quindi, catalogate secondo il codice Ateco alla categoria 56.10.2. Sono pertanto considerate alla stregua di laboratori alimentari e, come tali, regolate dal Regolamento CE n. 852/2004 sull’igiene dei prodotti alimentari così come dalle normative regionali e comunali in materia. L’operatore deve anche presentare una Scia (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) relative ai requisiti dei locali che dovrà essere inoltrata allo Sportello Unico per le Attività Produttive (SUAP) e, inoltre, il superamento di un corso HACCP per la manipolazione degli alimenti.
Dark Kitchen significa in altri termini mangiare fuori senza uscire di casa, ricreare la customer experience che il ristorante offre quotidianamente ai propri clienti bypassando aspetti che contribuiscono all’esperienza gustativa quando si va a mangiare fuori, quali l’estetica del locale e i tempi di attesa delle portate, “sostituendo” i camerieri con i riders, in un contesto dove pra e ancor di più nei prossimi anni tutto è delivery.
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