Luglio 9, 2022
(di Sofia Tavano)
La cucina è un faro che getta luce sugli aspetti di una cultura, è un atto d’amore verso gli altri, una trasmissione di emozioni e una condivisione di esperienze, tutto fuorché un mero esercizio di stile o un’arte autoriferita.
Ai fornelli, come in amore, la chimica non basta: mangiare al ristorante è un’esperienza multisensoriale e il sapore (che è diverso dal gusto) viene creato dal nostro cervello, non dipende solo dalle caratteristiche organolettiche del cibo, ma anche da componenti psicologiche, biologiche e culturali.
Il concept di Condividere: share, taste, experience, un connubio perfetto fra Spagna e Italia
La cucina è anche scambio, divertimento da condividere e «Condividere è uno stile di vita», queste le parole di Ferran Adrià, ideatore del concept del ristorante e, insieme a Federico Zanasi, chef modenese alla guida del ristorante, anche dell’offerta gastronomica del locale.
La location è stata progettata all’esterno da Cino Zucchi e all’interno è stata curata da Dante Ferretti, vincitore di 3 premi Oscar che vanta collaborazioni con registi del calibro di Spielberg, Scorsese e Fellini, che ha creato un ambiente urbano e colorato, in cui la scena è dominata da una fabbrica del caffè, con orologi che indicano i fusi orari dei Paesi di origine della materia prima.
L’esperienza gastronomica al ristorante, come uno spettacolo di teatro, deve essere unica, irripetibile e, per questo motivo, per progettare e arredare il Condividere la scelta non è ricaduta su un architetto ma su uno scenografo di fama internazionale.
La condivisione fa parte non solo del dna culinario del menu, dove tutte le portate sono pensate per essere condivise, mangiate per lo più come snack o con le mani, dando una connotazione informale a piatti da ristorante stellato.
Il ristorante che vanta una stella Michelin è frutto di un’idea nata sotto una buona stella, quella della Lavazza, e dal suo dialogo con Bob Noto, Ferran Adrià e lo chef modenese, 46 anni, Federico Zanasi.
Nel 2014 il critico gastronomico Bob Noto racconta la sua intuizione alla famiglia Lavazza e a Ferran Adrià, chef del ristorante El Bulli (oggi Fondazione ElBulli), nonché uno dei suoi amici più stretti, portando fisicamente in Italia colui che è stato definito il Salvador Dalì della cucina ma anche il Michelangelo della cucina contemporanea, per averla forgiata innovandone tecniche, linguaggi e registri.
L’estetica è gusto, questo non si può negare, ma la sovraesposizione al mondo dei social e l’ascesa del food porn vanno sicuramente ridimensionate.
Nell’intervista del nostro team allo chef Federico Zanasi, non abbiamo potuto evitare di chiedergli quale senso toglierebbe ai propri commensali, se proprio fosse costretto a sceglierne uno, e – a grande sorpresa, ma se ci pensiamo bene neanche troppo – ha risposto la vista, perché siamo in mondo dove i social dettano le mode e la cucina rischia di diventare mera spettacolarizzazione, fine a se stessa, in ossequio al bello a discapito del buono, senza contare che il cibo di alta cucina viene ormai considerato “effimero”, qualcosa che come gusto spesso non lascia il segno anche se ci ricorderemo di aver mangiato lì facilmente scorrendo fra le foto dell’archivio delle storie di Instagram.
Il nostro cervello ha circa il 50% delle sue cellule dedicate alla visione e solo l’1% dedicato al gusto e all’olfatto e il sapore di un piatto, di un vino o di un prodotto sono fortemente influenzati, non a caso, dalla vista, dal colore di un’etichetta, alla forma e all’impiattamento di una portata che ci viene servita al ristorante.
Il primo assaggio si fa con gli occhi, diceva Brillat-Savarin in Fisiologia del gusto, la sua opera considerata un classico in ambito culinario. Non solo però: ci sono (almeno) gli altri 4 sensi coinvolti, a partire forse dal più sottovalutato che è l’olfatto (un odore sgradevole all’ingresso del locale influenzerà aspettative e giudizio dell’esperienza già a monte del pasto, senza aver nemmeno dato un’occhiata ai piatti).
Federico Zanasi, 46 anni, mette in tavola un’esperienza culinaria da gustare con la spontaneità e l’allegria tipiche di un pranzo in famiglia o tra amici, bypassando l’idea che l’alta cucina sia asettica, forzatamente simmetrica, formale e ingessata.
«La tavola da pranzo è l’archetipo del social network» e questo non dovremmo mai dimenticarcelo, sostiene Camille Rumani, co-fondatrice del sito VizEat, nato allo scopo di connettere turisti e host locali per condividere una delle più grandi gioie della vita ovvero il mangiare insieme.
Il potere socializzante del cibo è quindi alla base del concept del Condividere, dove ogni elemento è pensato per mettere a proprio agio il cliente, a partire dalla location e dal servizio, effettuato da un personale giovane e alla mano, fino ad arrivare ai piatti, dove il lusso sta nella semplicità dei sapori, già sentiti – forse – ma presentati sotto una nuova consistenza, un abbinamento insolito, dove la creatività non è solo estro ma studio e dedizione.
La creatività in cucina: il punto di incontro fra tradizione e innovazione
La cucina gourmet non esiste: ci sono solo la buona e la cattiva cucina e nessuno giudicherà mai l’esperienza al ristorante solo in base a quanto si è sentito sazio, ma per l’esperienza che ha vissuto, la quale si estrinseca in una moltitudine di fattori che apparentemente non hanno nulla a che fare con quello che abbiamo mangiato.
Al termine del pasto i clienti si spostano nell’area Dulcis in fundo, nata appositamente per valorizzare il Caffè Lavazza, co-protagonista dell’offerta gastronomica del Condividere, da gustare insieme all’assortimento di dolci serviti sia come snack che come monoporzioni, per far sì che la firma d’autore si legga anche tra i titoli di coda dell’esperienza gustativa al ristorante.
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